Quarta parte: fino a Irkutsk e poi al confine mongolo
Dopo qualche giorno di treno perdiamo completamente la cognizione del tempo. Sul treno vige l’orario di Mosca e il tabellone di marcia fa riferimento a quello. In realtà stiamo attraversando diversi fusi orari ed è praticamente impossibile sapere l’ora dei luoghi che attraversiamo. La scarsa attività fisica e mentale stravolge l’appetito e le attività fisiologiche. Si dorme e si mangia a sprazzi, a volte per noia. Riscuotono quindi successo anche i mercatini notturni, perché fondamentalmente è sempre l’ora giusta per vodka, pivo e piroshki con kartoshka o kapusta.
La notte capita spesso di passare nei pressi degli innumerevoli siti industriali disseminati in tutta la Siberia. Le vampe degli alti sfiati delle raffinerie tingono di rosso pastello la notte e delineano la sagoma dei vagoni dei moltissimi treni merce che scorgiamo incrociandoli su binari poco distanti dal nostro.
Riflessioni esistenziali
Nel corso delle fermate più lunghe, quelle di circa mezz’ora mi allontano dal treno, a volte mi spingo fino all’uscita della stazione. È un po’ un rischio perché nelle stazioni più grandi i binari sono molti e i treni si assomigliano tutti. Devo fare attenzione a non sbagliare binario e a ritornare nei pressi del treno giusto con un minimo di anticipo. Ma non ne posso fare a meno. La curiosità mi assale e mi chiedo perché non vado a vedere, perché non vado a perdermi in una di queste città siberiane, forse solo per un po’, andando incontro ancora più impreparato all’inatteso, all’ignoto, dovendomela cavare in qualche modo, affidandomi alla qualità che più di ogni altra mi appartiene: l’essere una persona in mezzo ad altre persone, che per forza di cose condividono con me i sentimenti umani più profondi. Per quello che in questi giorni ho vissuto, per quello che ho veduto, io sento che troverei una nuova strada, misteriosa, affascinante, lungo la quale incontrerei e darei amore.
Dal diario di Filippo
«Fermata di un quarto d’ora a Nizhneudinsk. Si scende. I quindici minuti passano e Tamara (dell’equipaggio) ci invita a risalire ma mi trattengo perché Massimo è andato a fare due passi e non l’ho visto tornare. La banchina del nostro treno è oramai vuota e comincio a preoccuparmi. Controllo nello scompartimento e non c’è, provo a chiamarlo al cellulare che risulta non raggiungibile. Anche Andrej (dell’equipaggio) e i due giovani militari russi sono preoccupati e iniziano a urlare “italianzj” o qualcosa di simile. Siamo tutti sul treno che inizia a muoversi. Mi affaccio al finestrino e non c’è più nessuno. Provo comunque a chiamare Massimo ma senza risposta. Inizio a risalire il treno e per fortuna al primo vagone dopo il nostro incontro Massimo che era salito qualche carrozza più in su. Sospiro di sollievo, perdersi adesso sarebbe stato un bel casino. Mi ero già visto mentre tiravo il freno a mano e magari venivo anche arrestato.»
Arrivo a Irkutsk
Ci avviciniamo a Irkutsk. Io ho cercato di mantenere il ritmo del fuso orario di Mosca per assorbire la levataccia dell’arrivo a Irkutsk, previsto per le 3 del mattino, e aggredire come una tigre la ricerca notturna dell’ostello prenotato da Mosca. Dopo aver spaccato il minuto per 4 giorni, il treno resta fermo per un paio d’ore alle porte di Irkutsk. Quando scendiamo è ancora notte fonda e siamo a pezzi, la mia preparazione si è dimostrata completamente sbagliata. Non sappiamo come muoverci. Alcuni compagni di viaggio decidono di aspettare l’alba e poi muoversi con calma. Noi ci affidiamo a un tassista che percorre rapido le strade deserte piene di buche. Giungiamo all’ostello e subito ci dirottano da un’altra parte. Arriviamo finalmente alla destinazione finale. Il tassista ci chiede 500 rubli, sul momento ci sembrano un’esagerazione ma facendo il conto sono circa 15-20 euro, direi che ci ha salvati.
Poco da fare a Irkutsk
I due giorni passati a Irkutsk sono da dimenticare. Il tempo non è molto buono e non riusciamo a prendere parte alle lunghe escursioni sul Bajkal che richiederebbero un’altra levataccia, cosa per noi impossibile: siamo molto stanchi e si riposa male perché i letti dell’ostello sono durissimi e c’è un viavai continuo di gente anche la notte. Forse sarebbe stato meglio stabilirsi a Listvjanka, che è proprio sul lago, ma ormai è andata così. Lena, la bella ragazza che presidia l’ostello, ascolta Celentano e fa dei gran sorrisi, ci spiega come procurarci il biglietto per Ulaan Baatar.
All’Intourist Hotel c’è uno sportello delle ferrovie, dove l’impiegata molto gentile ci avverte che il viaggio sarà molto lungo: 36 ore. Una durata spropositata per la distanza da coprire. Scopriremo in seguito il perché. Compriamo il biglietto per Ulaan Baatar e passiamo il resto di questi due giorni a bighellonare e a prepararci per la ripartenza. In ostello, alla sera guardiamo le olimpiadi in TV, soprattutto la pallavolo, torneo in cui la Russia sta andando forte, il telecronista è scatenato. Sul tardi provo ad approfondire la conoscenza di Lena ma qualsiasi tentativo è impedito da un altro ospite israeliano chiacchierone a cui un anno in più di militare non avrebbe fatto male.
Fuga da Irkutsk

La mattina scopriamo che il treno è pieno di gente, molta di più rispetto alla sera prima. Non capiamo quando, un gruppo di pensionati tailandesi è salito e ha occupato gran parte degli scompartimenti. Sono molto organizzati e gentilissimi. Ci offrono in continuazione roba da mangiare. Insistono parecchio ed è difficile rifiutare, ma è veramente troppo e qualcosa lo buttiamo direttamente nel cestino.
Ingresso in Mongolia
Finalmente si parte, è quasi buio. Per fortuna nella nostra stessa carrozza si sistema un gruppo di giovani turisti di varia provenienza, tutti simpatici e cordiali. Organizziamo una cenetta internazionale con successive grandi bevute di vodka, osservando i riti propiziatori di vari paesi. Entriamo in Mongolia.
(fine quarta parte)
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