Nello scorso fine settimana si è rinnovato l’impegno, ormai pluriennale, come interprete per lo svolgimento del test del poligrafo nell’ambito delle competizioni di fisico naturale della NBFI.
Che cos’è il test del poligrafo o macchina della verità
Per approfondire le vostre conoscenze circa il test del poligrafo potete consultare la pagina Wikipedia dedicata e il sito ilpoligrafo.wordpress.com. Qui a me interessa parlarvi brevemente della mia esperienza lavorativa con questo strumento e di alcuni risvolti psicologici interessanti che ho avuto modo di riscontrare nel corso dei due giorni di lavoro intenso.
Interprete e verità
Come è noto, il tema della verità, e in particolare della fedeltà, è un argomento sempre attuale per gli interpreti e i traduttori che si trovano spesso a trasporre da una lingua a un’altra frasi non traducibili letteralmente, che necessitano quindi di una riscrittura o di una reinterpretazione per avvicinare alla cultura e all’esperienza dei fruitori i concetti che intendono trasmettere gli oratori e gli autori. Da qui i tanti contributi su fedeltà e tradimento (e per estensione verità e menzogna) riguardo al lavoro di traduttori e interpreti.
Quando mentire è difficile quanto ammettere una verità scomoda
La NBFI ha chiamato una collega e me per fare da interfaccia fra gli esaminatori (statunitensi, ex agenti di polizia) e gli atleti italiani. Atleti che per partecipare alla gara devono superare un test del poligrafo incentrato sul loro eventuale uso di farmaci correlati al bodybuilding e alle altre competizioni di fisico.
Prima di porre le domande vere e proprie, per gli esaminatori era necessario settare il poligrafo registrando e campionando per ogni soggetto i valori di riferimento in caso sia di menzogna sia di verità. La domanda (tradotta dall’inglese) a cui gli esaminatori volevano che gli atleti rispondessero mentendo era questa: “Nel corso di tutta la tua vita, hai mai mentito per non metterti nei guai?”. Chi conosce un po’ il bodybuilding sa che porre un “enigma” del genere agli atleti prossimi a una gara equivale a pugnalarli alle spalle. Il giorno prima della gara gli atleti sono talmente stanchi, stressati e nervosi che anche il semplice sforzo di inquadrare il verbo “mentire” può metterli in difficoltà. Figuriamoci in che misura possono comprendere una derivazione del burocratese.
Inoltre, partendo dal presupposto scontato che in questo caso mentire significa dire “NO”, rispondere a una domanda così generica, ammettendo di aver mentito e di essere quindi dei bugiardi, può essere fonte di grande imbarazzo. A nessuno piace dare anche solo vagamente l’idea di essere una persona che mente sul posto di lavoro. Oppure che tradisce gli amici.
Consumazione del tradimento
Visti gli sguardi attoniti dei primi malcapitati, ho capito che era necessario intraprendere il solco ampiamente battuto del tradimento nella traduzione. Restava però l’enigma supremo per il traduttore, vale a dire la scelta del tradimento. Considerato lo scarso tempo a disposizione per il susseguirsi degli atleti che si presentavano al test, non ho potuto fare altro che ricorrere al più infame, diabolico e allo stesso tempo umano e innocente dei tradimenti, quello perpetrato ai danni della mamma. Ho così trasformato l’enigma burocratese nell’esperienza che tutti accomuna, senza eccezioni, formulando la domanda perentoria “Hai mai detto una bugia alla mamma?”.
Forse è superfluo dire che con la locuzione sostitutiva la corretta elaborazione mentale risultava agevole per tutti. Sul volto di ognuno degli intervistati fioriva un sorriso certo della complicità dell’universo, probabilmente anche carico di teneri ricordi familiari. Si percepiva chiaramente il sollievo dato dal poter facilmente ricondurre e circoscrivere la triste condizione di bugiardo che affligge ognuno di noi al periodo della fanciullezza, dell’ingenuità, dell’assenza di responsabilità. Tutte prerogative di cui ci è impedito godere diventati adulti.
Ma proseguendo nel lavoro mi continuava a girare nella testa la domanda del perché sia socialmente accettabile mentire e quindi tradire la persona che più ci vuol bene e ci ama, spesso incondizionatamente; perché si continua a mentire alla mamma anche una volta diventati adulti. Forse la risposta sta proprio nella grandezza dell’amore materno, che ha nel perdono uno dei suoi fondamenti. Si può mentire spudoratamente alla mamma perché si ha la certezza quasi matematica del perdono.
Interpretare Dio e le donne
Nelle poche e brevi pause dal lavoro riflettevo che anche il cristianesimo si basa sugli stessi principi. Per chi crede, Dio esercita autorità e incute timore e rispetto, e il tradimento provoca grandi pene. Però Dio è pronto a perdonare in caso di redenzione; parimenti, non c’è niente di più facile del promettere ogni volta alla mamma “non lo faccio più”. Evidentemente questa percezione di poterla fare franca sempre e comunque non ha trovato storicamente argine sufficiente nel senso di colpa, altro grande pilastro dei rapporti sociali. Così l’umanità indebolita e vecchia è finita in un vicolo cieco e vi procede senza vergogna.
Verso la fine della giornata, ormai assodata la validità dello stratagemma lessicale, ho avuto la tentazione di esplorare un’altra dimensione. Quella della complicità di genere. Chissà se con i maschi potevo creare la stessa complicità chiedendo “Hai mai detto una bugia alla tua ragazza/moglie?”. Penso che avrei ottenuto ottimi risultati. Alla fine però ho desistito perché, pur essendo la nostra una società maschilista, il perdono da parte della compagna non è affatto scontato. E ciò crea ancora dei grattacapi, oltre a essere una speranza, una delle ultime, per il mondo.
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